domenica 20 luglio 2025

2.4. Una piscina piena di miele (Di nuovo Gianni, finalmente!)

(luglio 1998)

Quattro giorni senza neppure una chiamata da Gianni. Mi sento dieci metri sottoterra, ma devo reagire. Oggi ho lavorato parecchio: di mattina sono andato a vedere le casette di Albugnano con Bruno, un affare interessante in cui ho deciso di investire anch’io un po’ di soldi; nel pomeriggio ho dato una mano a Mayra al vivaio, dove sono arrivati diversi clienti, quasi tutti mandati dalla signora Bozzoli a comprare delle varietà di rose particolari che nel frattempo mi sono procurato. A quanto pare il passaparola funziona.

Ora sono piuttosto stanco e ho voglia di riposarmi al fresco: la stanza del retrobottega è esposta a nord e si sta molto bene anche d’estate. Spalanco le due finestre, dove Mayra ha sistemato delle provvidenziali zanzariere, e mi distendo sul letto. Lei mi raggiunge quasi subito con un bicchiere di succo d’ananas: la ringrazio e lo vuoto in due sorsi.

Non devo permettere alla malinconia di prendere il sopravvento.

- Siediti qua - le dico, indicando il letto. Obbedisce.

- Niente masajio? - mi chiede.

- No, per ora no. Stiamo un pochino insieme e basta.

- D’acordo. Hai volia di parlare?

- Sì, se non ti dà fastidio.

- Ma figurati se me dà fastidiu.

- Torniamo al discorso di ieri: ti stavo dicendo che voglio provare a rinunciare al sesso e tu mi hai rifilato uno sculaccione per questo.

- Ma no che no devi renunciare! Sei louco?

- Mayra, credevo di averti spiegato come stanno le cose e pensavo che tu avessi capito.

- Eh, ho capito! Ma no si può fare come dici te, sei troppo jovene. Devi farlo e basta.

- Scusa, ma che stai dicendo? Cioè, secondo te devo fare sesso tanto per farlo? Con la prima persona che capita?

- No, con la prima no. Bisogna sceglierla bene. Ora ci pensiamo su.

Mi viene da ridere, nonostante tutto.

- Mayra, non si tratta di scegliere o pensarci su: è una cosa che succede, oppure non succede. E se non succede, non ci puoi fare proprio niente.

- E alora spiegami te, visto che io da sola no ci arivo: cosa c’era di così speciale con Antonha che no puoi fare con le altre?

- Tutto, ma proprio tutto.

- Questa no è una risposta: è come dire che un gato è un gato perché è un gato.

- A proposito, come sta Gatu Felipe?

- Benisimo, grazie: gli ho fatto una cufieta nuova, più legera, per l’estate. Ma no cambiare argomento, rispondimi ala mia domanda.

- Provo a spiegarti. La cosa speciale era che con Antonia mi lasciavo andare completamente.

- In che senso ti lassiavi andare?

- May, è davvero imbarazzante parlarne. Io credo… sì, credo di essere bello in certi momenti. Lascio vedere quello che c’è di bello nella mia anima. Ma lo lascio vedere solo se mi fido di una persona.

- E quindi tu ti fidavi di Antonha?

- Sì. Mi sono fidato di lei fin dal primo momento e ho continuato a farlo per un bel po’, anche se lei mi ha tradito e ha rifiutato la mia proposta di matrimonio.

- E tu ti fidavi lo stesso.

- Sì, mi fidavo.

Scoppia in una risata argentina.

- Che fesakioto che sei, Manu.

- Hai ragione, sono un gran bel fesso.

- Comunque io mi credevo che è la mujer che si lassia andare in quei momenti, no il maskio.

- May, devi sapere che fin dall’inizio è sempre stata lei a prendere l’iniziativa con me. Io più che altro la lasciavo fare.

- Ma te quindi non facevi gnente?

- No, calma, non è che non facevo niente: qualcosa facevo anch’io. Anzi, a un certo punto sono cresciuto e ho incominciato a prendere il gioco in mano.

- Il joco in mano, Prins?

- È un modo di dire, May, - rispondo spazientito - e poi scusami, non è che posso entrare nei dettagli: sforzati di immaginare. Lo so che per te non è facile, ma non è mica colpa mia se tu non ne sai niente di queste cose.

Mi mordo la lingua.

- Scusami, non volevo offenderti.

- No ti escusàr, è la verdade. Però qualche film di sex l’ho visto anch’io, eh. Io credo che ho capito una cosa: a te, più che fare sex, ti piace farti fare le kuze.

Avvampo. Mayra ha fotografato in un clic quella “passività sessuale” che lo psicologo aveva a suo tempo fatto emergere come uno dei tratti peculiari della mia personalità, spiegandomene il perché e il percome con lunghi e inutili giri di parole (la cosa mi era evidente anche senza che me lo dicesse lui). Scopro adesso che non c’è nessun bisogno di pagare uno psicanalista, se si ha a che fare con Mayra.

- In un certo senso sì - ammetto.

- Va bèn, ma certe kuze le so fare anch’io - dice candidamente lei.

Tiro su la testa e la fisso ad occhi sbarrati.

- Mayra, non sai di cosa parli. Almeno spero.

- Perché, cosa ci sarebe di strano?

- Tutto! Sarebbe tutto strano e completamente assurdo. Io non riesco nemmeno a immaginarti mentre fai certe cose. Oddio Mayra, non farmi pensare che le facevi anche tu… E con chi poi?

Lei, sbrigativa, taglia corto:

- ‘Scolta, Manu: secondo me lei ti faceva dei masaji o roba del genere, no?

- Eh, più o meno.

- Be’, i masaji li so fare anch’io.

Mi riappoggio contro il cuscino con un sospiro di sollievo: per fortuna questa povera donna non ha capito niente.

- Sì certo, May, tu sei bravissima a fare i massaggi.

- E alora lo vedi?

Mi viene di nuovo da ridere.

- Ma vedo cosa? Dai, su, per favore, siamo seri: sono due cose completamente diverse.

- Lo so che non è proprio uguale, eh! Ci arivo a capirlo. Ma intanto un masajio è meglio che gnente, no?

- È molto meglio che niente, May. Molto, molto meglio.

- E non ti lassi andare quando ti masajio?

- Sì, May, effettivamente mi lascio andare. Mi piace, mi rilassa e mi tira su di morale. Se a te fa piacere farmeli, a me fa piacere riceverli e siamo a posto. Non c’è proprio bisogno che tu faccia… altre cose, ecco. Né con me né con nessuno.

- E alora comincia a contentarti di questo. Poi si vederà.

- Va bene, Mayra: massaggiami ancora, mi fa molto piacere.

Mi distendo, sfilandomi la maglietta. Lei ricomincia a massaggiarmi.

- I pantaloni no te li togli, Manu?

- No, è meglio di no. Se per caso torna Carlos…

- Va ben, ho capito. Ti masajo la schiena e la pancia.

Chiudo gli occhi e mi rilasso completamente. Rimango in silenzio per un po’, poi mi decido a farle una domanda che ho in mente da tempo:

- Ma a te non manca mai il sesso, Mayra?

Mi guarda stranita, come se le avessi chiesto una cosa profondamente stupida.

- Cosa mi deve mancare a me, Manu? Io ho tutto.

- In che senso?

- Ho un lavoro belisimo, un irmùn come Carlos che mi vuole un sako di bene, una casa bunita con un gato, un orto con le verdure, delle brave galine che fano i uovi tutti i giorni, un bel jardìn con tanti fiori, una cane come Bela, e perfino te nel mio leto! Io credo davero che sono la mujer più fortunata del mondo, Prins.

Improvvisamente gli occhi mi si riempiono di lacrime. Fingo un attacco di starnuti: lei mi porge un fazzoletto.

- Hai preso freddo. To’, metiti questo sialle di lana sulle spalle, che lì ho finito.

Mi avvolgo intorno al collo lo scialle di lana morbida che mi tende. Ha un vago odore di vaniglia o qualcosa di simile, un profumo dolce e oppiato.

- Comunque Manu, - mi dice comprensiva - se ti manca così tanto il sex, è fàsil: basta che torni a letto con Antonha.

Resto completamente spiazzato da questa uscita.

- No May, adesso non posso più.

- Perché? Lei non vuole?

- No, lei non mi ha mai detto di no come amante. Il fatto è che sono cambiato io. Lei mi ha umiliato, come uomo e come padre. Prima ero solo un ragazzo, poteva avere un senso che mi trattasse con superiorità, ma adesso…

Mi interrompe con insolita severità.

- No Manu, non aveva senso nemeno prima. Se eri pikolo, doveva trattarti come una mamàn, no sukiarti tuto e poi tratarti come una superiora e andare a leto con i òmini più grandi.

Non posso evitare di ridere di nuovo: la sua descrizione è molto buffa, anche se perfettamente calzante.

- May, la superiora è una specie di capo delle suore, e credimi, Antonia non ha proprio niente di una suora.

- Eh, m’imagino.

- Comunque, May, adesso proprio non riuscirei più a lasciarmi andare con lei. Potrei farci sesso, questo sì: c’è sempre stata una fortissima attrazione fisica fra me e lei.

- E io cosa ti avevo detto? Puoi farci sex.

- Mayra, allora non mi sono spiegato. Fare sesso senza sentimento, come ti ho detto prima, non è comunicare, è solo scopare. Non m’interessa, e soprattutto non m’interessa con lei, visto che l’ho amata davvero. È inutile, non capisci.

- Invece credo che ho capito, Prins: a te ti manca che no puoi più farle vedere quella beleza che ci hai dentro.

La guardo stupito: ha colto perfettamente il punto.

- Esatto, Mayra. Io non intendo più assolutamente farle vedere quello che c’è di bello in me: lei lo ha visto e lo ha disprezzato. Quindi basta, discorso chiuso.

- È justo così, Manu. Però ti manca tanto farla vedere a qualcuno, quella beleza che ci hai dentro. Per questo volevi farla vedere a Janni, che ti vede belissimo di fuori.

Faccio segno di sì con la testa.

- Hai bisonho di trovare una persona che ti fidi, Prins.

- Eh, ma non c’è. Speravo di averla trovata in lui, ma sono solo uno stupido. E non ce n’è nessun’altra.

- Proprio nesuna?

Sto per rispondere “nessuna”, ma mi blocco all’improvviso e alzo lo sguardo.

- Cioè, in realtà ci sarebbe, ma…

- Ma?

- Ma non si può.

- E se non si può, paciencia.

Rimango in silenzio per alcuni secondi, poi le rivolgo la più idiota delle domande:

- E quindi come facciamo?

Si stringe nelle spalle.

- Spetiamo che ariva quela persona, Manu, e intanto faciamo altro.

Mi rilasso di nuovo e tento di non pensare più a niente. All’improvviso il mio cellulare squilla.

- Prinsy, te lo spengo, se no no puoi rilasarti.

Balzo a sedere sul letto.

- No, per carità, non spegnerlo: da’ qua.

Mayra, sospirando, me lo porge. Il cuore mi dà una botta di gioia quando vedo il numero.

Resisto alla tentazione di rispondere e fisso ipnotizzato il display, ascoltando gli squilli ed attendendo il bip finale che mi conferma che c’è un messaggio in segreteria. Intanto Mayra si è seduta con le mani intrecciate in grembo e mi guarda con aria rassegnata.

- No lo scolti, Prins?

- Sì Mayra, adesso lo ascolto.

- Adeso quando?

- Adesso.

- Ah, ho capito, vuoi che vado via io.

- No May, per favore, resta. Questo messaggio potrebbe essere l’ultimo e farmi molto male: perciò preferisco che ci sia tu al mio fianco.

- D’acordo, Manu. Dai, skiacia il pulsante.

Premo con dita esitanti il pulsante e metto il cellulare in vivavoce, in modo che senta anche Mayra.

- Emmanuel, - esordisce una voce insolitamente calma e controllata - io non so più cosa fare. Se tu non mi parli e non mi dai la possibilità di spiegare, io non posso farti capire come stanno le cose. Non è come sembra, credimi. Ti prego di rispondermi. Vorrei incontrarti per chiederti scusa e per spiegarti tutto. Ti prego, dammi questa possibilità. Un grosso bacio, amore mio.

Clic.

Rimaniamo entrambi in silenzio. Poi è Mayra a parlare.

- Sembra sinseru, Manu.

Annuisco lentamente.

- Sì, lo so, May: Gianni sa fingere molto bene. Altrimenti non ci sarei cascato come un pollo.

- Eh ma no mi pare che fa finta.

Un altro silenzio.

- Forse devi provare a parlarci, Prins, perkè ci stai tropo male e io non riesco a fare gnente per te.

- Non è vero, Mayra, tu sei importantissima per me e riesci sempre a farmi stare meglio.

- Melio sì, ma no bene. Provaci a parlare con lui, male che vada gli chiudi te la porta in facia, se ti ofende di nuovo.

Rimango a fissare il cellulare. Poi lo appoggio sul comodino e mi distendo di nuovo sul letto.

- Ci penserò, May. Ora, per favore, finisci il massaggio.

- D’acordo.

Ricomincia a massaggiarmi.

- Lo sai che sei molto più rilasato adesso? I muscoli sono molto più morbidi.

- Sì, lo so.

Mi sento come se stessi annegando in una piscina di miele, tanta è la dolcezza di quel contatto ristabilito.

Gianni è tornato a cercarmi.

 

venerdì 18 luglio 2025

2.3. Tre giorni senza Gianni (...ma con Mayra e le sue erbe!)

- Tajète Redcèri.

Mayra si siede sul letto, apre il catalogo e me lo mette trionfalmente sotto gli occhi.

La foto raffigura un magnifico cespuglio di Tagete Red Cherry, con fiori opulenti di un intenso color ciliegia scuro. Leggo sul catalogo che questa varietà si distingue per la sua ininterrotta fioritura da inizio estate fino ai primi freddi dell’autunno.

- È davvero spettacolare - confermo.

- Va bene nei bordi dei jardini e anche nei balconi, sta benisimo dapertutto. E poi, Prinsy, è facilisima da coltivare: è bunita e adatta a tutti, anche ai prinsipianti.

- Approvato, May: sarà il nostro prossimo ordine.

- Sì, lo facio domani matina, ma poi volio anche seminarla. I semi si mettono coperti da marzo ad aprile oppure diretamente in terra alla fine di aprile o inizio majio. Poi bisonha diradare i semenzali o trapiantarli con un spassio di quindici-venti centimetri tra una piantina e l'altra…

Interrompo il suo appassionato flusso di coscienza botanica con un’obiezione qualunque.

- Però il Tagete non è una pianta perenne: a te non piacciono le piante annuali.

- No è che no mi piaciono, è che mi affeziono e mi dispiace che muoiono. Però certe volte col clima justo sopravivono. Vediamo cosa posso fare con la serra, magari ci riesco, come con le surfinie… Ne sono sopravivute tante.

- Se non ci riesci tu, Mayra, non ci può riuscire nessun altro.

- Esajerato.

- Non sono affatto esagerato.

Sbadiglio.

- Hai sonno? Vuoi che vado via?

- No, resta per favore. Non ho sonno: è che questo caldo mi stanca, e poi oggi ho faticato un po’ a spostare i vasi degli agrumi: Carlos aveva altro da fare.

- Potevi chiamarmi.

- Ma no, May, un po’ di esercizio fisico mi fa bene: sto diventando un rammollito, guarda qua, non c’è più traccia di addominali.

Alzo la maglia del pigiama e mostro quel che resta delle mie vecchie tartarughe.

- No è mica tanto male quelo che vedo, Prinsy…

- Macché, faccio schifo rispetto a un tempo: dovrei tornare in palestra, ma alla fine cosa ci vado a fare? Non faccio più le foto con Gianni.

- Però le fai con quel altro fotografo, Guido.

- Sì, ma lui mi fotografa quasi sempre vestito. Non è che mi servano a molto gli addominali, con lui.

- Melio così, che nudo no andavi mica bene.

- Mayra, - sbotto - non so più come dirtelo: non ero nudo. Non mi sono mai fatto fotografare nudo da Gianni, okay? Anzi, più in generale, Gianni non mi ha mai visto nudo.

- Eh ma ci avevi solo le mutandine adosso. Le ho viste le foto, sai?

- Certo che avevo le mutande, era un servizio fotografico per l’intimo maschile! Eccheccazzo.

- Ma perkè ti arabi, Prinsy?

- Scusa, sono di cattivo umore.

Mayra sospira.

- Sei sempre di cativo umore, Manu.

- Non sempre, ma spesso.

- Eh, moltisimo spesso.

Si alza e fa cenno a Bella di seguirla.

- Meto fuori Bella che deve fare i suoi bisonhi. Ieri li ha fatti sul tapeto.

- Colpa mia: mi sono dimenticato di portarla fuori.

- Sei distratto, Manu.

- Sì, hai ragione, sono distratto.

Sospira di nuovo ed esce, seguita da Bella.

Rimasto solo, nella piacevole penombra della mia stanza, rimugino sul senso del mio malessere. Non mi è difficile capire da cosa deriva: è un confuso senso di allarme generato dal fatto che da tre giorni non ricevo più telefonate da Gianni. Era scontato che prima o poi si stancasse, visto che non gli rispondo mai, ma sotto sotto speravo che la cosa continuasse come una specie di gioco che in qualche modo ci teneva in contatto. Mi manca moltissimo, ma non posso permettermi di abbassare la guardia: lo avevo fatto, e all’improvviso mi è arrivato un cazzotto in piena faccia che mi ha lasciato tramortito per settimane. Sapevo di essere innamorato di Gianni, ma non immaginavo di poterci stare così male. Anche adesso respingo l’idea di poter soffrire per una persona che si è atteggiata a maestro di vita, estorcendo la mia stima e la mia fiducia, per poi ripagarla con una volgarità di cui non lo credevo capace. Davvero, collegare Gianni con l’idea della volgarità era per me qualcosa di impensabile: lui così fine, colto, ironico, elegante… Eppure la sua proposta è stata di una inaudita volgarità, tanto che mi è venuto da vomitare per lo sdegno, lo shock e il disgusto. Non avrei più potuto vederlo dopo quelle parole, lo sapevo bene: e infatti non solo non l’ho più rivisto, ma non ho più comunicato con lui. Eppure, nonostante tutto, quelle sue telefonate quotidiane alle quali non rispondevo, quei suoi messaggi disperati in segreteria, mi scaldavano il cuore e me lo facevano sentire ancora vicino, nell’unico modo purtroppo possibile. Del resto, non è vero che io non comunicassi con lui: comunicavo in modo fin troppo eloquente attraverso il mio silenzio.

Ora perché ha smesso di cercarmi?

Come si suol dire, se ne sarà fatto una ragione e avrà puntato verso altri lidi, il che mi conferma che non mi amava veramente. Mi domando come abbia potuto simulare così bene, come abbia fatto io a cascarci come un salame, e anche per quale diavolo di motivo lui non mi abbia portato a letto, visto che non si trattava di niente di serio; lo dice lui stesso che riesce a fare sesso solo con le avventure occasionali: bene, a quanto pare io non ero niente di più, e allora non capisco perché mi abbia, per così dire, risparmiato.

Nel frattempo mi sono visto “Il bell’Antonio”, il vecchio film interpretato da Marcello Mastroianni e Claudia Cardinale, e ho capito un po’ di cose sul conto di Gianni. Cioè, più che altro ho capito che mi ha mentito, perché lui per me non provava niente di simile.

Mayra rientra con Bella. La sua vista mi conforta: lei sì mi scalda il cuore, perché sono assolutamente certo del suo affetto.

- Mi fai uno dei tuoi massaggini? - le chiedo con il tono di un cucciolo afflitto. Quel tono ha sempre l’effetto di farla sciogliere come il burro, per cui sono certo della sua risposta affermativa.

- Certo che stai diventando ben vissiato, te…

- Hai proprio ragione.

Mentre lei va a prendere l’olio da massaggio, mi distendo sul letto a pancia in giù, con le braccia incrociate sotto la fronte. Mayra è di ritorno e incomincia a massaggiarmi, partendo come sempre dalle spalle.

- Il collo è tuto rigido.

- Sì, sono teso e nervoso.

- Rilasciati.

- Si dice rilassati, May.

- E va ben, alora rilasati.

- Non mi chiedi perché sono così teso?

- No, perkè lo so già.

- Ah sì? E cosa sai?

- Che ti manca il sex.

- May, mi dispiace, ma non hai capito niente.

- No?

- No. La fai troppo semplice.

- Ah la facio semplice. Perché invece com’è?

Sbuffo spazientito.

- Non è il sesso che mi manca. Se fosse così, scusami se te lo faccio notare, non credo che avrei grosse difficoltà a soddisfare le mie esigenze.

- Certo che no, perché sei bunito. Nesuna mujer ti direbbe di no.

- Ora non esageriamo, però diciamo che non mi sarebbe difficile trovarne una, o anche più di una.

- O anke un òmo.

- Anche.

- E quindi?

- E quindi lo vedi che non è così.

- Alora spiegami.

- È difficile spiegartelo. Il fatto è che il sesso di per sé non è gran che, se non serve per comunicare con una persona. Non m’interessa, non mi è mai interessato neppure da ragazzo.

- E alora non puoi comunicare in un altro modo?

- No, Mayra, è questo che non capisci: quello che mi manca è proprio questo tipo di comunicazione.

- Apunto: allora lo vedi che avevo rajone, ti manca il sex.

- Sì ma cazzo, il sesso per comunicare, non per fare sesso! Ci vuole tanto a capirlo?

- Ho capito, Manu, ma se vuoi comunicare con il sex hai bisonho del sex. Ci vuole tanto a capirlo?

- Oh cavolo May, non riesco proprio a spiegarmi. Siamo sempre lì: se non le hai mai fatte, queste cose, come puoi capirle?

- No lo so, Prinsy, ma se mi spieghi melio forse capisco.

Sospiro.

- Allora Mayra, ti basti sapere che è una cosa talmente rara che io l’ho provata solo con Antonia, anche se a volte mi è sembrato di poterla provare anche con un paio di altre persone. Però la vera comunicazione l’ho avuta solo con lei. È l’unica donna alla quale io abbia concesso tutto me stesso, anima e corpo.

- Solo a lei?

- Sì, solo a lei. Con lei non fingevo e non recitavo, ero sempre me stesso, anche a letto. È proprio questo il problema: io sono stato così solo con lei.

- Insoma Prins, hai paura che non ti sucede mai più con nesun altro.

- Sì, è proprio così, Mayra. Ho paura che non mi succeda mai più.

- Questo l’ho capito. E pensavi che ti sucedeva di nuovo con Janni.

- Sì, perché lui diceva di amarmi. Quella notte che abbiamo trascorso insieme senza fare nulla, stando solo abbracciati, ho sentito che stavamo comunicando in un modo profondissimo… Insomma, mi sono davvero illuso. Ma mi sbagliavo: lui mi ha chiuso la porta in faccia nel più brutale dei modi, e io adesso mi sento malissimo.

- Perkè ti manca lui, no il sex.

- No, non solo: sto male anche perché sono preoccupato. Il risultato è che ora non riesco più a fare sesso con nessuno, e tu capisci che è davvero un po’ troppo presto alla mia età. Insomma, io ci sto provando a farne a meno, ma non so se sarò in grado di riuscirci, ecco tutto.

- Ma no ci devi provare proprio per gnente, Manu! - esclama sdegnata Mayra, dandomi un poderoso sculaccione.

- Ahia! Stai diventando manesca, May.

- Sì, skusame, mi lassio trassinare dal entusiasmo.

- Certo che se li tratti così, i maschi…

- Io no li tratto proprio, i maski: te sei un’ecessione. Ti ho fato màl?

- Un pochino. Ora massaggiami piano e con dolcezza per farti perdonare, eh?

- Il sederoto?

- Certo: è a lui che hai dato un ceffone.

- D’acordo. Va bene così?

Sì, va davvero bene: mi sto di nuovo eccitando, in aperta contraddizione con le mie affermazioni sull’impossibilità di fare sesso. Ma resto sdraiato a pancia in giù e non le dico nulla: non si accorgerà di niente.

- È perfetto. - le dico - Speriamo che non arrivi Carlos.

- Cosa c’entra Carlos?

- Eh, c’entra.

- Mi sa che è proprio qui.

Si sentono i passi pesanti di Carlos sulla ghiaia.

- Basta, continuiamo un’altra volta.

- Ma perkè?

- Va bene così, dammi retta.

Mi alzo di colpo dal letto e mi infilo velocemente la maglietta e i jeans. Quando la maniglia della porta gira io sono seduto con l’aria più innocente del mondo su una delle due sedie impagliate azzurre di fronte al tavolino, intento a sfogliare un catalogo con Mayra, seduta di fianco a me.

- Ciao ragazzi, - esordisce Carlos - cosa state guardando di bello?

- I tajète! - risponde Mayra con entusiasmo. Confermo con un convinto cenno del capo.

- Sì, Mayra ha scoperto una varietà spettacolare.

Carlos va in cucina e prende una birra dal frigo, la stappa e la beve direttamente dalla bottiglia, da vero uomo. Poi si siede sul letto.

- Come va con il nuovo fotografo? - mi chiede.

- Abbastanza bene, ma non benissimo. Voglio dire, le foto che mi faceva Gianni erano molto più particolari, le riviste di moda le preferivano. Insomma, guadagno così così.

- Non ho ancora capito cosa è successo con Gianni.

- È un po’ difficile da spiegare, Carlos. Abbiamo litigato, mi ha offeso.

- Se ti ha offeso hai fatto bene a mandarlo a stendere. Però il punto è che guadagni di meno.

- Diciamo che non è l’aspetto più spiacevole della faccenda, almeno per me. Per fortuna riesco a tirare su qualcosa come aiutante e socio di Bruno.

- Meno male, Principe: il vivaio vende un po’, ma non abbastanza.

Mayra, punta sul vivo, replica:

- Irmùn, devi darmi tempo! No è che in pochi mesi posso fare miracoli, eh.

- Figurati, May: tu stai facendo anche troppo. Non è mica per noi due che mi preoccupo, ma per il Principe, che deve restituire il prestito ai suoi.

Mayra abbassa lo sguardo per un attimo, ma subito lo rialza decisa.

- Io un’idea ce l’avrei.

- Che idea, May? - le chiedo incuriosito.

- Ecco Prinsy, ci hai presente quele piante che la jente se le fumano?

- Vuoi dire il tabacco?

- Makè tabaco. Io dico quele che dopo uno si sente tutto strano.

Carlos e io ci guardiamo sbalorditi.

- Vuoi dire la cannabis? - azzardo, incredulo.

- Vuoi dire la marijuana? - mi fa eco Carlos.

- Sì, credo che si kiama così. Insoma Prins, è inutile che mi guardi con quei oki da galina, no è mica veleno!

- Occhi da gallina?!

- Sì, perkè? Tuti tondi che sembrano dele palline di vetro colorato.

Carlos scoppia a ridere.

- Mayra, - le dico stizzito - le galline non hanno gli occhi blu! E poi i polli gli occhi ce li hanno di lato, non tutti e due davanti, senza contare che l’espressione delle galline…

- Manu, ‘scolta - mi interrompe sbrigativa, per nulla interessata all’espressione delle galline - Hai presente il libro di quela mujer che mi hai regalato?

- Santa Ildegarda?

- Sì, quela che le ricette delle piante gliele racontava di notte un anju, che poi kisà chi era per davero. Be’, lei dice che quel erba là fa bene a la salute. E alora che male c’è?

Sospiro, cercando di non perdere la pazienza. Carlos continua a ridere.

- Mayra, non è questione che sia bene o male: è il-le-ga-le. Se ci beccano ci denunciano.

Mayra, sorprendentemente, alza le spalle, per nulla impressionata.

- Legàl no vuole mica dire justo, Prinsy. La polissia e i judici di solito condanano i inocenti, mica i colpevoli. Quindi basta che lo faciamo di nascosto.

- Mayra, ma cosa dici?

- No ti preocupare, Manu, facio tuto io. So dove nasconderle, quele piante: le nascondo così bene che nemeno te riesci a trovarle. Anzi guarda, no te lo dico neanke, dove sono. Quindi per te è come se no ci sono, va bene?

- Ma no che non va bene! E poi, anche se fosse, a chi le vendiamo? Io non so a chi smerciare quella roba!

Carlos smette di colpo di ridere.

- Principe, ti dirò, l’idea di mia sorella non è per niente male, sai?

- Eh?

- Frequentando Michelle ne ho conosciuta parecchia, di gente interessata a “quella roba”, come la chiami tu. Perciò, per me è sì.

Ingoia l’ultimo sorso di birra, si alza dal letto e mi fa un cenno di saluto.

- Ci vediamo dopo, vado a mettere al coperto i vasi: minaccia un temporale.

Resto a bocca aperta. Ricambio meccanicamente il cenno di saluto, mi alzo e mi lascio di nuovo cadere sul letto.

- Voi due siete pazzi - dico.

Però, ripensandoci… se perfino Ildegarda ci dà la sua benedizione…

Mayra osserva dalla finestra Carlos che si allontana, tira la tendina e si siede sulla sedia accanto al letto.

- Guardiamo un catalogo?

- E va bene, guardiamo un catalogo.

Il mio cellulare squilla: balzo istintivamente a sedere e lo afferro, osservando il display.

- Prinsy, cosa ci hai? Sembra che ti ha morso un serpe.

Il mio cuore si contorce per la delusione.

- È Bruno - dico tetro.

Premo il tasto del cellulare e mi preparo ad ascoltare la voce squillante di Bruno.

- Pronto, Manuèl?

- Ciao, Bruno.

- Ti va di venire a vedere quelle casette di Albugnano domani?

- D’accordo: dove ci troviamo?

- Davanti al mio ufficio alle nove. Va bene?

- Benissimo, Bruno: a domani.

- Ciao, neh!

Bruno riattacca. Appoggio desolato il cellulare sul comodino.

- E ben?- chiede Mayra - No ti fa piacere che ti ha chiamato Bruno?

- Ma sì, certo che mi fa piacere… È solo che…

- È solo che no è Janni.

Accenno ad un sì con la testa. Il mio cuore è pesante, ho voglia di dimenticare tutto dormendo. Mayra, che ovviamente ha capito il mio stato d’animo tenta di distrarmi:

- Hai ancora volia di parlare, Manu?

- No, adesso no, May. Era un discorso interessante, ma continuiamo domani.

- D’acordo. Alora una fettina di dolce?

- Sì, grazie, quella sì.

- Te la porto.

- Mi stai mettendo all’ingrasso, May.

- Eh, hai volia a ingrasare tu, con quel pancino così lissio…

Sorrido pallidamente e appoggio la nuca sul cuscino, fissando il soffitto.

 

 

venerdì 11 luglio 2025

2.2. Corpi al sole (Ma è uno stalker?...)

(luglio 1998)

 

- Buttati, piccolo! Non ti succede niente, c’è qua zio Michele che ti prende.

Martino, dopo un attimo di esitazione, si lascia cadere in piscina, prontamente accolto da mio fratello, che lo afferra per la vita e lo sostiene, mentre il bambino strilla, ride e sputacchia.

Michele si avvia al largo, verso la parte profonda della piscina, con Martino aggrappato alle spalle.

Mia madre appoggia sulle ginocchia il giallo di Agatha Christie che sta leggendo ed osserva la scena.

- Stanno benissimo insieme, vero? - mi chiede sorridendo.

Annuisco senza rispondere.

Siamo seduti su due sedie a sdraio ai bordi della piscina della nostra villa: mi sono lasciato convincere, non so neppure io perché, a presenziare ad uno dei primi bagni di mio figlio. Ho lasciato Bella alla serra in compagnia di Mayra e Carlos, con cui sta benissimo, e mi sono trascinato a casa dei miei molto malvolentieri, immaginando già di trascorrere un pomeriggio imbarazzante. Oltre tutto non sono affatto di buon umore: la ferita lasciata nel mio animo da Gianni stenta a chiudersi; credo che siano lo stupore e lo shock ad impedirmelo, non c’è altra spiegazione: di solito, quando capisco che una persona mi ha preso in giro, la rimuovo completamente dai miei pensieri; non capisco per quale motivo io non riesca a dimenticare questo abile simulatore.

Ed eccomi qua, seduto al bordo della piscina sotto un provvidenziale ombrellone (il sole picchia forte oggi). Naturalmente io sono “zio Manu”, e altrettanto naturalmente Martino mi ignora, completamente assorbito dal rapporto con l’altro zio. Per fortuna non c’è nessun altro, perché mi sarebbe ben difficile nascondere il disagio che provo; vorrei essere in qualsiasi altro luogo del pianeta in questo momento: se ci fossero degli ospiti me la filerei all’inglese. Mia madre si volterebbe a cercarmi: “Ma dov’è finito Emmanuel?” Ops, sparito.

Mia madre, già: questa cara donna è un grosso enigma per me. Mio fratello conosce la verità, per cui il problema con lui non si pone, ma lei, almeno in teoria, non ne sa nulla: la osservo con la coda dell’occhio, stupito dall’apparente naturalezza con cui accetta la presenza di Martino alla villa. Tutto questo mi è incomprensibile. Sono convinto che mia madre sappia molto più di quanto non voglia dare a vedere, ma che abbia deciso che la cosa più saggia da fare sia recitare questa commedia degli equivoci, una specie di copione di Menandro in cui ha riservato un ruolo anche a me: è convinta che io, in qualche modo, “debba” avere a che fare con questo bambino, pur non lasciando trapelare alcun sospetto circa la mia parentela con lui. Sembra dare per scontato che, se Michele è il padrino del piccolo, io non possa esimermi dal fare lo zio putativo. Questo, in un certo senso, mi agevola, perché non devo nascondere più di tanto la mia frequentazione della casa di Antonia, ma mi mette anche in serio imbarazzo, perché non ci credo nemmeno un po’ che mia madre avverta questa esigenza nei confronti del figlio di un estraneo. Ad ogni modo faccio finta di niente (che altro potrei fare?) e rivolgo un sorriso finto alla piscina, con l’aria di apprezzare la scena che si svolge sotto i miei occhi.

- Hai messo la crema solare al bambino? - chiede mia madre a Michele.

- Sì, certo: con la pelle che ha, se non gli metto la crema a protezione totale si spella come un peperone.

Oggi mia madre indossa un elegante costume da bagno intero color turchese, che mette in risalto la sua figura snella e ancora pressoché perfetta, e ha gli occhi riparati da un paio di occhiali scuri di marca, con le lenti piuttosto grandi, che le stanno benissimo. In testa, sui capelli biondi ben pettinati e riuniti con un fermaglio sulla nuca, porta un largo cappello di paglia che la protegge dal sole (ha la pelle delicata come la mia). Mia mamma è ancora molto bella. Quanto a me, ho optato per un paio di calzoncini da bagno molto castigati di cotone verde militare, lunghi quasi fino al ginocchio; non mi va di fare “quello sexy” in presenza di mio figlio, e poi non ho più voglia di assumere atteggiamenti sexy in generale: l’ho fatto con Michelle perché le piacevo così, lo facevo per scherzo perché me lo chiedeva Gianni, ma adesso Michelle se n’è andata, Gianni non c’è più, almeno fisicamente, e il mio nuovo fotografo non sente l’esigenza di ritrarmi seminudo, per cui la questione è chiusa. Diciamo che, episodicamente, mi diverto a farlo un po’ con Mayra, specie in occasione dei suoi frequenti massaggi, ma è una specie di scherzo bonario fra di noi, che nessuno dei due prende sul serio, e che comunque serve a risollevarmi un po’ il morale. Rifletto sul fatto che farmi mettere le mani addosso da lei mi piace moltissimo e non mi imbarazza: è piuttosto strano, dato che non provo alcuna attrazione fisica per lei; ma alla fine va bene così: è un contatto sensuale ma innocente, su cui nemmeno il geloso Carlos trova più da ridire. Ogni tanto spalanca di colpo la porta della cameretta attigua all’ufficio, convinto di coglierci in flagrante, ma resta sempre deluso: non succede mai niente di proibito fra me e sua sorella. Del resto, sono stato costretto a spiegargli che attualmente il mio cuore è occupato da un uomo di mezza età, cosa che non ha mancato di stupirlo e sconcertarlo. Gli ho assicurato che la storia è finita e che sto cercando di dimenticarlo, ma se n’è andato scuotendo la testa, poco convinto. Purtroppo Carlos mi conosce bene.

- Non ti tengono caldo quei pantaloncini così spessi e lunghi? - chiede mia madre.

- No, mamma, vanno benissimo. Certo, ci mettono un po’ ad asciugare quando faccio il bagno.

- Sono quasi da vecchietto, tesoro, non da ventenne. Alla tua età, e con il fisico che hai, dovresti portare degli slip corti e aderenti, come tuo fratello.

- No, grazie, mamma.

- Sei sempre così serioso da qualche tempo a questa parte… E pensare che quella benedetta donna della Dalmasso insiste ancora di averti visto praticamente nudo su una rivista! Dice che indossavi solo una specie di tutina di plastica completamente trasparente, si vedeva tutto.

- È pazza, mamma: non ero io, te l’ho detto almeno dieci volte. E poi, che razza di abbigliamento sarebbe una tutina di plastica trasparente? Dev’essersela sognata.

- Ma sì, lo so, è assurdo: perfino tu saresti ridicolo con una tuta di plastica addosso, anche se con il tuo fisico ti sta bene qualsiasi cosa. Insomma, che razza di fotografo farebbe delle foto del genere? Dovrebbe essere un depravato, un pervertito, un…

- Un gay, mamma.

- Ecco, sì, forse un gay: ma solo un pazzo si metterebbe nelle mani di un fotografo gay senza niente addosso o quasi, a meno che…

- A meno che non fosse gay anche lui.

- Appunto: e non è certo il tuo caso.

- Eh no.

- E quindi non eri tu.

Il sillogismo di mia madre fa acqua da tutte le parti, ma mi guardo bene dal dirglielo.

- La Dalmasso è molto indispettita dal fatto che io non le creda, sai? Ne ha fatto un punto d’onore. Ha detto che cercherà quella benedetta rivista e mi farà vedere le foto. Non sa più dove l’ha messa, altrimenti lo avrebbe già fatto.

Sudo freddo: confido nel mio angelo custode, che certamente avrà nascosto quella rivista in fondo a una cassapanca, sotto un mucchio di stracci. Cerco di scherzarci su.

- Bene, mamma, se la trova falla vedere anche a me: sono proprio curioso di conoscere il mio sosia.

Mia madre ride e cambia argomento.

- Comunque, tesoro, non trovi che Michele sia nato per fare il padre?

- Sì, assolutamente.

- E pensare che non ha figli. Per fortuna Laura è ancora giovane e sembra che sia guarita bene. I medici sono molto ottimisti.

Non dico nulla. Non ho mai avuto la minima fiducia nell’ottimismo dei medici in casi del genere. A mio parere non hanno la più pallida idea dell’esatta natura della malattia con cui hanno a che fare, per cui il loro ottimismo e il loro pessimismo valgono quanto un tiro di dadi. Mi limito ad augurare in cuor mio a Laura tutta la fortuna del mondo.

- Il bambino è bellissimo, non trovi?

- Sì, è molto bello.

- Ha qualcosa che mi ricorda un po’ te da piccolo, sai? Non nel modo di fare, quello no. Lui è molto più serio: tu eri un tesoro, ma un vero tontolone, sempre con le testa fra le nuvole, e ridevi sempre.

- Un idiota, insomma.

- Ma no, che dici? Non un idiota, un amore di bambino. Lui non ride quasi mai: è un bambino curioso, osservatore e attento. Dev’essere molto intelligente.

- Sì, pare anche a me. A volte mi imbarazza.

- Ad ogni modo sono molto stupita del fair play di tuo fratello: ho sempre saputo che era un ragazzo forte e razionale, ma non avrei mai pensato che potesse rimanere in così buoni rapporti con la sua ex moglie.

- Non ancora ex, mamma: non si sono separati ufficialmente.

- Sì, ma è come se lo fossero: vivono in due case diverse e ciascuno ha la sua vita. Eppure Michele è voluto rimanere in contatto con lei, anche se è evidente che lei lo ha tradito quasi subito, perché il bambino è nato troppo presto.

- Già.

- Non so, c’è qualcosa che mi sfugge: non capisco come abbia fatto a perdonarla così presto. Non mi stupisce la nobiltà d’animo di tuo fratello, perché lo so che è un ragazzo con una mente superiore, ma mi pare che si stia attaccando un po’ troppo a quel bambino che non è figlio suo, non ti pare?

- Sì mamma, effettivamente si comporta né più né meno come se fosse suo padre.

- D’accordo, Antonia gli ha chiesto di fargli da padrino, ma Michele stravede per quel piccolo. Intendiamoci, il bambino piace molto anche a me, ma lo trovo… strano, ecco, piuttosto strano.

- Non posso darti torto, mamma.

Dalla piscina arriva la voce di Michele:

- Ehi, Emmanuel, ci butti la palla?

Mi alzo, vado a prendere una palla di gomma rossa appoggiata alla parete della cabina e la lancio a mio fratello, che la usa per giocare con Martino, ma anche per insegnargli a nuotare; il bambino si aggrappa con le manine alla palla e impara a galleggiare senza accorgersene e senza patemi d’animo. È intelligente, mio fratello.

- Buttati anche tu - mi dice Michele.

- Non ne ho voglia - incomincio, ma poi mi lascio attirare da quell’azzurro invitante, prendo lo slancio e mi tuffo di testa. Raggiungo i due con poche bracciate, sollevando qualche spruzzo: subito Martino protesta strillando.

- Hai paura di un po’ d’acqua? - gli dico ridendo.

- Tio butto! - esclama Martino.

- No dai, brutto no: - lo corregge Michele - se mai cattivo.

- Come no, cattivissimo: spruzzo veleno! - dico con voce cavernosa, sgranando gli occhi. Poi immergo completamente la testa e riemergo con la bocca piena d’acqua, spruzzandola in faccia a Martino. Naturalmente il bambino reagisce con uno strillo indignato e mi picchia in faccia.

- Butto! Butto!

Rido e mi allontano dalla coppia, raggiungendo il bordo della piscina con qualche bracciata.

- Che figlio scemo che ho fatto - bofonchio fra me, scrollando i capelli per asciugarmeli un po’.

Mia madre, che ha osservato la scena, sorride divertita. Torno a sedermi sulla mia sdraio.

- Certo che gli diventerai antipatico, tesoro, - mi dice lei - se gli fai degli scherzi così stupidi.

- Eh pazienza, mamma: me ne farò una ragione - le rispondo, spostando la sdraio al sole per asciugarmi meglio. A dirla tutta, io e mio figlio ci siamo antipatici a vicenda.

All’improvviso il mio cellulare, che è rimasto appoggiato sul tavolino sotto l’ombrellone, squilla.

- Emmanuel, non rispondi?

- No, mamma, non ho voglia di essere disturbato: lascialo squillare. Prima o poi la pianterà.

Dopo una quindicina di squilli il chiamante desiste, ma si sente distintamente il bip della segreteria telefonica.

- Credo che ti abbia lasciato un messaggio in segreteria, tesoro.

Mi alzo sbuffando, raggiungo l’ombrellone e prendo in mano il telefono. So già perfettamente di chi si tratta e la mia insofferenza è soltanto simulata: in realtà ho il batticuore. Ho sempre una segreta paura di ascoltare l’ultimo messaggio, quello di addio: perciò esito. Alla fine premo il pulsante e ascolto il messaggio passeggiando nei dintorni dell’ombrellone per non insospettire mia madre, che troverebbe piuttosto strano il fatto di vedermi allontanare per ascoltare il messaggio di nascosto.

Purtroppo Gianni è in evidente stato confusionale e strilla così forte che è difficile silenziare la sua voce, per quanto io tenga il cellulare incollato all’orecchio.

- Emmanuel, amore, ma perché non mi rispondi mai? Lo capisci, vero, che così mi porti alla disperazione? Oh, lo so che lo fai per punirmi, e fai bene, perché me lo sono meritato, ma devi darmi la possibilità di spiegarti… Devi, capisci? Tutti hanno diritto a una seconda possibilità, e io non posso vivere se tu non me la concedi. Ti prego, ti supplico, ti scongiuro, cucciolo caro, rispondimi!

Riattacco fingendo la massima indifferenza. Mio fratello e il bambino, impegnati nei giochi in piscina, non possono avere sentito nulla, ma mia madre era piuttosto vicina a me e temo che qualcosa possa esserle arrivato all’orecchio. Mi risiedo al mio posto facendo finta di niente. Per un po’ lei rimane in silenzio, poi mi chiede:

- Tutto bene, tesoro?

- Sì, mamma, perché?

- Non so, mi è parso che la telefonata ti abbia turbato.

- Chi, me? Ma se non ho detto una parola. Io ho solo ascoltato: se mai era lui che era turbato.

Ed eccola qua, la solita uscita da perfetto imbecille. Arrossisco, ma per fortuna il rossore può essere attribuito al sole.

- Lui? - chiede inevitabilmente mia madre.

- Eh sì, era un uomo.

Mia madre tace, non sapendo come formulare la prossima domanda. Poi raccoglie le idee e ci prova:

- Comincio a capire perché non volevi rispondergli: dev’essere un terribile scocciatore.

- Più o meno.

- È uno stalker?

- Diciamo che in un certo senso lo è.

- Guarda che lo stalking è un reato: se vuoi puoi denunciarlo.

- Ma no, mamma, non è il caso.

- Cioè, non è che io abbia sentito gran che, ma i toni che usava… Dio mio… erano patetici.

- In effetti quest’uomo è un soggetto molto melodrammatico.

- Per carità, tesoro, non dargli corda: tipi del genere possono essere pericolosi.

- Ma infatti non gli ho risposto, mamma: più di così…

- E hai fatto benissimo. Ma tu guarda un po’ che razza di persone ci sono in giro…

Scuote la testa e, per fortuna, si rimette a leggere “Corpi al sole”, un titolo che mi sembra molto appropriato alle circostanze.

Mi adagio contro lo schienale con un sospiro di sollievo e chiudo gli occhi, ascoltando distrattamente le voci di Michele e di mio figlio che giocano in piscina e facendo il bilancio della situazione.

Le buone notizie sono tre: la prima, che Gianni mi ha telefonato; la seconda, che non mi ha detto addio; la terza, che prima o poi questa giornata finirà.

 

 

 

 

 

 

martedì 8 luglio 2025

2.1. Il rustico (Ma che voce ha la tua ragazza?)

- Allora, cosa te ne pare?

- Mi stai dicendo che abbiamo fatto tutti questi chilometri per venire a vedere questo… - esito, non volendo definirlo in modo troppo dispregiativo - questo edificio?

- Certo!

Il rustico, o per meglio dire il rudere, si erge nel centro del paese, in posizione elevata, su una specie di piattaforma rocciosa circondata da una vegetazione indefinibile fatta di rovi e cespugli. Lo osservo incredulo.

- Ne valeva la pena, no?

- In che senso ne valeva la pena?

Bruno sbotta, spazientito:

- Ma che fine ha fatto il tuo intuito? Non vedi le potenzialità di questo rustico in centro paese?

- Che sia in centro paese non lo metto in dubbio, Bruno, ma quale paese?

- Come, quale? Quello dove ci troviamo: Pàllare, in provincia di Savona! O per caso ti sei addormentato a metà strada?

- No, Bruno, ero ben sveglio: anche se avessi voluto addormentarmi, sul tuo Galloper, con tutti quei tornanti presi agli ottanta all’ora, non ci sarei riuscito.

- Hai avuto un po’ di strizza, eh?

- Eh, a volte un po’ sì.

- Il mio Galloper… galoppa! E io, come ti ho già detto, sono stato un campione di motocross e me la cavavo anche come pilota di rally.

- Me ne sono accorto, altrimenti saremmo finiti in un burrone.

- E poi non hai visto che fantastici paesaggi? Da Ceva in poi sono tutti boschi che sembra quasi di essere in Canada! Boschi di conifere e castagni, il paradiso dei cercatori di funghi.

- Sì, questo sì: devo ammettere che il paesaggio è bellissimo, molto verde, almeno nella parte cuneese; in quella ligure è più brullo. Ma torniamo a noi: dunque ci troviamo a Pallare, in provincia di Savona: e questo dovrebbe costituire un pregio per l’immobile?

- Ragazzo mio, lasciatelo dire, hai perso lo smalto: certo che costituisce un pregio. Pallare si trova a mezz’ora di macchina da Vado Ligure!

- Mezz’ora non è pochissimo per arrivare al mare, eh! Comunque te lo concedo, la cosa può rappresentare un vantaggio. Ma è sufficiente per compensare gli svantaggi?

- Quali svantaggi?

- Bruno, porca miseria, in questo rustico non c’è niente di niente e credo che non ci sia mai stato niente: non vedo traccia di impianti di sorta. Manca la corrente elettrica, manca l’acqua potabile, manca l’allaccio alla fognatura…

- Qui si usano ancora le fosse biologiche.

- Okay, allora manca la fossa biologica.

- E c’è una sorgente a pochi passi: l’acqua è ottima.

- Ma non scherziamo: come ti lavi, vai a prendere l’acqua con le caraffe e la versi nelle bacinelle? Fredda, poi! Non è come avere l’acqua corrente, eh!

- Una volta si faceva così: l’acqua si scaldava sul putagè.

- Bruno, per favore, smetti di sognare i tempi di tua nonna e torna in te. Insomma, qui manca assolutamente tutto e il rustico è completamente da ristrutturare.

- Ma ragazzo, non capisci che è proprio questo il suo bello? Siamo in presenza di una struttura interamente in pietra locale che non ha mai subìto alterazioni di sorta, cioè si trova allo stato originale! Una vera rarità. Probabilmente risale al sei-settecento, forse anche prima. Se ne potrebbe ricavare un edificio magnifico!

Sospiro, cercando di non perdere la calma. Sono diventato insofferente e poco tollerante da quando ho rotto in quel modo drammatico con Gianni. Amavo quell’uomo e mi fidavo di lui: la separazione è stata brutale, mi brucia come una ferita che non vuol saperne di rimarginarsi. Cerco di lenirla riempiendo le mie giornate di cose belle e degli affetti che per fortuna ho, dell’amicizia di Carlos, delle attenzioni premurose di Mayra, della frequentazione trisettimanale di Antonia e Martino, delle visite alla mia famiglia, della festosa presenza di Bella. Ma ho un dolore continuo allo sterno, e se non ricordo male, dietro lo sterno c’è il cuore. Gianni mi manca da morire, ma per nessuna ragione al mondo tornerei a cercarlo dopo che mi ha offeso a morte cercando di mandarmi a letto con Aaron. Non rispondo al telefono quando mi cerca, il che accade quasi tutti i giorni. Mi lascia dei messaggi disperati in segreteria: li ascolto e li cancello, senza mai rispondere. Prima o poi si stuferà, e quel giorno, lo so già, soffrirò come un cane. Ma il mio cuore ha subìto una ferita mortale quando l’uomo che amavo ha cercato di spingermi fra le braccia di un altro come se io fossi una prostituta da strada. Non si tratta di orgoglio ferito: cercando di mandarmi a letto con un altro, Gianni ha dimostrato di non amarmi affatto, ed è questo che mi ha colpito a morte. Io credevo che lui mi amasse, in un certo senso lo davo per scontato, e vivevo cullato da questa dolce fiducia, come un bambino piccolo: scoprire che non era così è stato uno shock per me. Perciò continuerò a soffrire in silenzio, ma no, non lo perdonerò.

Neppure la simpatia di Bruno riesce a lenire il fastidio di vivere che provo quotidianamente: gli sono affezionato, ma ultimamente ha idee sempre più stravaganti sugli edifici e seguirlo nei suoi vagabondaggi in cerca di “occasioni immobiliari” mi sta diventando pesante, anche se mi distrae. Ma non è colpa sua, povero Bruno: il fatto è che mi pesa tutto, quando sono in questo stato d’animo. Cerco di addolcire il mio tono di voce per non offenderlo e gli rispondo con calma:

- Bruno, sono d’accordo: se ne potrebbe senza dubbio ricavare un edificio spettacolare. Per esempio, queste arcate potrebbero diventare un magnifico loggiato, e le volte a crociera della sala centrale sono di una rara bellezza.

- Oh ecco, vedo che finalmente ragioni!

- Sì, ma abbi pazienza: quanto verrebbe a costare tutto questo?

- Eh, un bel po’ di soldi, ma sai perfettamente che dispongo di maestranze albanesi a basso costo, gente che sa il fatto suo.

- E che verrebbe a lavorare fin qui? Dormendo dove? Mangiando dove? E a spese di chi?

- Be’, questo in effetti è un piccolo problema.

- No, non è un piccolo problema: è un problema enorme. Oppure pensi che debbano fare su e giù da Castelnuovo a Pallare tutti i santi giorni? E la benzina e l’autostrada chi gliele paga?

Finalmente la baldanza di Bruno incomincia a vacillare di fronte alle mie considerazioni di semplice buon senso. Non riesco a capire come un uomo così lucido e concreto, capace di concludere affari vantaggiosissimi, possa letteralmente perdere la testa di fronte a certi edifici: mi dice sempre che non bisogna innamorarsi delle case, ma è lui il primo a farlo. Ed è difficile farlo desistere da questi innamoramenti improvvisi e fatali. Del resto non posso biasimarlo: so bene quanto sia difficile desistere da un amore.

- Bruno, - proseguo con dolcezza - tu sai quanto ti sono grato per quello che stai facendo per me: solo con la vendita della casetta di Berzano ho guadagnato, grazie a te, più di quello che guadagno in due mesi con il vivaio. Però quando sbagli devo pur dirtelo.

- Sbaglio in che senso? - tenta ancora di fingere Bruno, guardando con occhi rapiti le volte a crociera.

- Nel senso che mai e poi mai riusciresti a recuperare i soldi che ci spendi.

- Costa poco: me la porto via con venti milioni.

- Sì, ma poi ne spendi duecento per ristrutturarla, pagare vitto e alloggio ai tuoi albanesi, chiedere i permessi per tutti gli allacciamenti, sperando che te li concedano, pagare gli oneri di urbanizzazione e via dicendo. Alla fine, a quanto dovresti venderla, non dico per guadagnarci, ma per recuperare i tuoi soldi?

- Eh lo so… dovrei venderla un po’ cara… ma d’altra parte è a mezz’ora dal mare.

- Ed è qui che ti sbagli: se fosse a mezz’ora dal mare, ma con la vista del mare, allora potrebbe avere un senso affrontare una spesa del genere; ma qui siamo in centro paese e non vediamo nient’altro che le case del paese e un pezzo di bosco. Quindi la casa, per bella che sia, non potrà mai valere i soldi che ci spenderesti.

Bruno tentenna.

- Oltre tutto non ha neanche un parcheggio - incalzo, spietato.

- Ma c’è quel bellissimo spiazzo a poca distanza, dove abbiamo parcheggiato, e poi qui non c’è mai troppa gente, neppure d’estate.

- Lo so, ma non è come avere un parcheggio privato. Una villa che si rispetti deve avere un parcheggio privato. E poi, se non c’è gente neppure d’estate, vuol dire che come località di vacanza non è molto gettonata, no?

Ho vinto la partita, glielo leggo in faccia: provo un senso di sollievo, perché ho evitato al mio amico un’avventura suicida, in cui lui si sarebbe gettato con l’entusiasmo cieco degli innamorati.

- Mi sa che hai ragione te - ammette mogio.

- Credo di sì.

- E allora cosa siamo venuti fin qui a fare? Ti ho fatto solo perdere tempo…

Sorrido e gli batto una mano sulla spalla.

- Ma no, Bruno! Prendiamola come una piccola vacanza: mi ha fatto molto piacere accompagnarti in gita.

- Te sei diventato la mia coscienza critica, ragazzo!

- È un complimento che non merito. Diciamo che io effettivamente non m’innamoro delle case, ecco tutto.

- Già.

Il cellulare di Bruno squilla.

- Scusa un momento. Sì, Patrizia, cosa c’è? Ma cosa mi telefoni a fare per dirmi certe cretinate? Mao e Pippo hanno litigato nei fili del computer e li hanno ingarbugliati? E chissenefrega! Ah… hanno fatto un cortocircuito? E chiama l’elettricista, no?

Bruno riattacca il telefono in faccia alla povera Patrizia, che sta ancora protestando.

- Patrizia santa subito - commento con un sorriso.

- Macché santa! È una rompiscatole. Brava però, eh: come segretaria non c’è niente da dire. Comunque adesso è già mezzogiorno: dobbiamo mettere qualcosa sotto i denti, non voglio farti anche restare digiuno.

- Sì, mangiare qualcosa potrebbe essere un’idea.

- Che ne diresti di pranzare in un autogrill sulla Torino-Savona? Ne conosco uno dalle parti di Mondovì dove si mangia bene e si sta seduti comodi ai tavoli.

- Perfetto: però allora dobbiamo rimetterci subito in viaggio, altrimenti rischiamo di trovare il ristorante dell’autogrill già chiuso.

- Non è un problema: con il mio Galloper…

Mi affretto a smentire tutto quello che ho appena detto.

- Non c’è nessuna fretta, Bruno: in un’oretta ci arriviamo, a Mondovì.

- Paura, eh?

- No, figurati. È solo che mi piace viaggiare tranquillo. E poi odio la Torino-Savona: non per niente la chiamano “autostrada della Morte”. Bisogna andare piano.

- Sì, lo so: ci sono morti tre miei amici, purtroppo. La stanno raddoppiando un po’ per volta, quella maledetta autostrada, ma non hanno ancora finito. Dai, andiamo.

Torniamo allo spiazzo semierboso dove abbiamo parcheggiato. Prima di salire a bordo del Galloper lancio un ultimo sguardo di saluto al rudere, che certamente non rivedrò mai più. Non mentivo, comunque, quando dicevo a Bruno che è stata una bella giornata: lo è stata, tutto sommato, nonostante l’inconcludenza del viaggio; ho visto dei bei posti, che non conoscevo, e mi sono rilassato in compagnia di Bruno, ascoltando le sue chiacchiere incessanti che mi hanno piacevolmente rintronato per tutto il viaggio di andata, facendomi dimenticare la mia malinconia. Ora invece il mio amico è silenzioso, un po’ immusonito: ha dovuto rinunciare ad uno dei suoi sogni d’amore ed è visibilmente deluso.

Il buonumore gli ritorna di colpo di fronte ad un paio di ottime portate che abbiamo ordinato al self-service dell’autogrill, accompagnate da un paio di birre alla spina: lui ha scelto una bistecca con patate fritte, io ho optato per una parmigiana di melanzane. Mentre mangia di buon appetito, Bruno ricomincia subito a prospettarmi nuovi affari.

- Ho scoperto una serie di casette rustiche, tutte con un pezzo di giardino, subito dietro la collina di Albugnano: che te ne pare?

- Caspita, fantastico: questo può davvero essere interessante, anche perché i tuoi operai albanesi sarebbero sul posto in cinque minuti.

- Infatti. Appena hai un momento di tempo te le faccio vedere: sono quattro, tutte attaccate tipo villette a schiera, ma la quarta è libera su tre lati, quindi quasi indipendente. Sono da ristrutturare, ma i muri sono sani. La mia intenzione è di ristrutturare solo l’essenziale, tetto, impianti e intonaco giallo Piemonte fatto con la sabbia di Piea, che è gialla di suo, e poi venderle così come stanno a qualcuno che abbia pochi soldi ma voglia permettersi lo stesso una casetta con giardino in collina: poi se la finisce con comodo, ma potendo già permettersi di abitarci.

- Ecco, questa sì che è una buona idea. Le vedrò con piacere.

Bruno, soddisfatto della mia risposta, accenna a un brindisi con il suo boccale di birra: ricambio il gesto. Ci mettiamo a mangiare e non parliamo più.

Sono ormai le quattro del pomeriggio quando arriviamo in vista del casello autostradale. Mentre Bruno paga il pedaggio e riparte, diretto verso Castelnuovo, il mio cellulare squilla. Dò un’occhiata al display e non rispondo.

- Non rispondi? - mi chiede Bruno.

- No.

- E non spegni?

- No.

- Ma perché, scusa?

Non posso ovviamente dirgli la verità, e cioè che si tratta di un modo per tenere sulla graticola un uomo che mi ha fatto soffrire moltissimo. Decido di fornirgli una spiegazione che possa sembrargli plausibile.

- Ho litigato con la mia fidanzata, e quindi la lascio chiamare senza rispondere.

- Ah. Ti stai vendicando?

- Sì.

- Ti ha fatto le corna, eh?

- No, non propriamente.

- Cosa vuol dire non propriamente? O ti ha fatto le corna o non te le ha fatte!

- Non me le ha fatte. Però mi ha trattato in modo molto offensivo, e io non intendo perdonarla.

Bruno mi molla una pacca sulla coscia.

- Fai bene, ragazzo! Così si comporta un vero uomo.

Sorrido: la definizione di “vero uomo”, applicata ad un rapporto omosessuale, non è delle più appropriate. Però in fondo perché no? Uno può comportarsi da vero uomo anche con un altro uomo.

Finalmente il cellulare smette di squillare. Sento il caratteristico bip che annuncia l’arrivo di un messaggio in segreteria.

- Deve averti lasciato un messaggio, quella poveretta - commenta Bruno.

- Può darsi.

- Ma ascoltalo, no?

Con un sospiro porto il cellulare all’orecchio e premo il tasto della segreteria telefonica. Mi raggiunge una voce melodrammatica, ansimante, incrinata dall’angoscia.

- Emmanuel… io davvero… io non so più come chiederti scusa. Rispondimi, per favore! Dimmi qualcosa, fammi sentire la tua voce… Mi stai facendo stare da cani… Ti scongiuro, richiamami!

Riattacco.

Gianni strillava così forte che Bruno deve avere sentito tutto. Non dico niente. Per un po’ neppure Bruno parla, ma poi non ce la fa a stare zitto.

- Ma lo sai che la tua ragazza ha una voce da finocchio? - sbotta.

Scoppio a ridere.

- Lo so, Bruno: glielo dico sempre anch’io che ha una voce bruttissima.

- Ma proprio brutta, eh. Sembra un gay!

- Hai ragione, Bruno, sembra proprio un gay. Del resto è piuttosto mascolina anche come aspetto fisico.

- Davvero?... Ah be’, c’è a chi piace quel tipo di donna. Sai, quelle che sembrano un po’ dei viados…

- Sì, ho presente. Ma la mia ragazza non è così: è un tipo fine.

- Un tipo fine con quella voce?

- Sì, molto fine, anche se un po’ mascolina.

- Comunque la stai facendo impazzire, quella povera ragazza: era proprio disperata, si sentiva.

- Peggio per lei, se lo merita.

- Tu sai come trattarle le donne, eh, Manuèl?

- Veramente no, le donne mi hanno sempre dato buca. Una, poi, ha cercato di ammazzarmi.

- Davvero?

- Eh sì, davvero.

- Ma cosa le avevi fatto di così terribile?

- Avevo deciso di lasciarla.

- E per quello ti voleva ammazzare? Ma era matta? Allora io dovrei essere morto almeno dieci volte! Ne ho prese e lasciate almeno una ventina, di donne: dopo un po’ mi vengono a noia, non le sopporto più.

- Io non ho fortuna con le donne. Detto fra noi, mi converrebbe diventare gay.

Bruno, interdetto, non sa cosa replicare. Poi bofonchia:

- Mah insomma, non lo so mica se ti converrebbe. Non che le donne siano gran che, salvo eccezioni, ma per andarci a letto sono meglio dei maschi.

- Scherzo. Ovviamente è impossibile diventare gay, per un etero.

- Ah ecco, volevo ben dire. E cerca di farci la pace, con quella poveretta: avrà pure una voce da frocio, ma si sente che ci tiene a te.

Sorrido e gli dò una pacca sulla mano, appoggiata sulla leva del cambio.

- Grazie della bellissima giornata, Bruno.

- Figurati! Grazie a te, Manuelito.

Si concentra sulla guida, ma dopo qualche secondo sbotta:

- In ogni caso, se ti saltasse in mente di diventare gay, non contare su di me!

Rido di cuore.

Divertito dalla sua stessa battuta, scoppia a ridere anche lui.