(luglio 1998)
- Buttati, piccolo! Non ti succede niente, c’è qua zio Michele che ti prende.
Martino, dopo un attimo di esitazione, si lascia cadere in piscina, prontamente accolto da mio fratello, che lo afferra per la vita e lo sostiene, mentre il bambino strilla, ride e sputacchia.
Michele si avvia al largo, verso la parte profonda della piscina, con Martino aggrappato alle spalle.
Mia madre appoggia sulle ginocchia il giallo di Agatha Christie che sta leggendo ed osserva la scena.
- Stanno benissimo insieme, vero? - mi chiede sorridendo.
Annuisco senza rispondere.
Siamo seduti su due sedie a sdraio ai bordi della piscina della nostra villa: mi sono lasciato convincere, non so neppure io perché, a presenziare ad uno dei primi bagni di mio figlio. Ho lasciato Bella alla serra in compagnia di Mayra e Carlos, con cui sta benissimo, e mi sono trascinato a casa dei miei molto malvolentieri, immaginando già di trascorrere un pomeriggio imbarazzante. Oltre tutto non sono affatto di buon umore: la ferita lasciata nel mio animo da Gianni stenta a chiudersi; credo che siano lo stupore e lo shock ad impedirmelo, non c’è altra spiegazione: di solito, quando capisco che una persona mi ha preso in giro, la rimuovo completamente dai miei pensieri; non capisco per quale motivo io non riesca a dimenticare questo abile simulatore.
Ed eccomi qua, seduto al bordo della piscina sotto un provvidenziale ombrellone (il sole picchia forte oggi). Naturalmente io sono “zio Manu”, e altrettanto naturalmente Martino mi ignora, completamente assorbito dal rapporto con l’altro zio. Per fortuna non c’è nessun altro, perché mi sarebbe ben difficile nascondere il disagio che provo; vorrei essere in qualsiasi altro luogo del pianeta in questo momento: se ci fossero degli ospiti me la filerei all’inglese. Mia madre si volterebbe a cercarmi: “Ma dov’è finito Emmanuel?” Ops, sparito.
Mia madre, già: questa cara donna è un grosso enigma per me. Mio fratello conosce la verità, per cui il problema con lui non si pone, ma lei, almeno in teoria, non ne sa nulla: la osservo con la coda dell’occhio, stupito dall’apparente naturalezza con cui accetta la presenza di Martino alla villa. Tutto questo mi è incomprensibile. Sono convinto che mia madre sappia molto più di quanto non voglia dare a vedere, ma che abbia deciso che la cosa più saggia da fare sia recitare questa commedia degli equivoci, una specie di copione di Menandro in cui ha riservato un ruolo anche a me: è convinta che io, in qualche modo, “debba” avere a che fare con questo bambino, pur non lasciando trapelare alcun sospetto circa la mia parentela con lui. Sembra dare per scontato che, se Michele è il padrino del piccolo, io non possa esimermi dal fare lo zio putativo. Questo, in un certo senso, mi agevola, perché non devo nascondere più di tanto la mia frequentazione della casa di Antonia, ma mi mette anche in serio imbarazzo, perché non ci credo nemmeno un po’ che mia madre avverta questa esigenza nei confronti del figlio di un estraneo. Ad ogni modo faccio finta di niente (che altro potrei fare?) e rivolgo un sorriso finto alla piscina, con l’aria di apprezzare la scena che si svolge sotto i miei occhi.
- Hai messo la crema solare al bambino? - chiede mia madre a Michele.
- Sì, certo: con la pelle che ha, se non gli metto la crema a protezione totale si spella come un peperone.
Oggi mia madre indossa un elegante costume da bagno intero color turchese, che mette in risalto la sua figura snella e ancora pressoché perfetta, e ha gli occhi riparati da un paio di occhiali scuri di marca, con le lenti piuttosto grandi, che le stanno benissimo. In testa, sui capelli biondi ben pettinati e riuniti con un fermaglio sulla nuca, porta un largo cappello di paglia che la protegge dal sole (ha la pelle delicata come la mia). Mia mamma è ancora molto bella. Quanto a me, ho optato per un paio di calzoncini da bagno molto castigati di cotone verde militare, lunghi quasi fino al ginocchio; non mi va di fare “quello sexy” in presenza di mio figlio, e poi non ho più voglia di assumere atteggiamenti sexy in generale: l’ho fatto con Michelle perché le piacevo così, lo facevo per scherzo perché me lo chiedeva Gianni, ma adesso Michelle se n’è andata, Gianni non c’è più, almeno fisicamente, e il mio nuovo fotografo non sente l’esigenza di ritrarmi seminudo, per cui la questione è chiusa. Diciamo che, episodicamente, mi diverto a farlo un po’ con Mayra, specie in occasione dei suoi frequenti massaggi, ma è una specie di scherzo bonario fra di noi, che nessuno dei due prende sul serio, e che comunque serve a risollevarmi un po’ il morale. Rifletto sul fatto che farmi mettere le mani addosso da lei mi piace moltissimo e non mi imbarazza: è piuttosto strano, dato che non provo alcuna attrazione fisica per lei; ma alla fine va bene così: è un contatto sensuale ma innocente, su cui nemmeno il geloso Carlos trova più da ridire. Ogni tanto spalanca di colpo la porta della cameretta attigua all’ufficio, convinto di coglierci in flagrante, ma resta sempre deluso: non succede mai niente di proibito fra me e sua sorella. Del resto, sono stato costretto a spiegargli che attualmente il mio cuore è occupato da un uomo di mezza età, cosa che non ha mancato di stupirlo e sconcertarlo. Gli ho assicurato che la storia è finita e che sto cercando di dimenticarlo, ma se n’è andato scuotendo la testa, poco convinto. Purtroppo Carlos mi conosce bene.
- Non ti tengono caldo quei pantaloncini così spessi e lunghi? - chiede mia madre.
- No, mamma, vanno benissimo. Certo, ci mettono un po’ ad asciugare quando faccio il bagno.
- Sono quasi da vecchietto, tesoro, non da ventenne. Alla tua età, e con il fisico che hai, dovresti portare degli slip corti e aderenti, come tuo fratello.
- No, grazie, mamma.
- Sei sempre così serioso da qualche tempo a questa parte… E pensare che quella benedetta donna della Dalmasso insiste ancora di averti visto praticamente nudo su una rivista! Dice che indossavi solo una specie di tutina di plastica completamente trasparente, si vedeva tutto.
- È pazza, mamma: non ero io, te l’ho detto almeno dieci volte. E poi, che razza di abbigliamento sarebbe una tutina di plastica trasparente? Dev’essersela sognata.
- Ma sì, lo so, è assurdo: perfino tu saresti ridicolo con una tuta di plastica addosso, anche se con il tuo fisico ti sta bene qualsiasi cosa. Insomma, che razza di fotografo farebbe delle foto del genere? Dovrebbe essere un depravato, un pervertito, un…
- Un gay, mamma.
- Ecco, sì, forse un gay: ma solo un pazzo si metterebbe nelle mani di un fotografo gay senza niente addosso o quasi, a meno che…
- A meno che non fosse gay anche lui.
- Appunto: e non è certo il tuo caso.
- Eh no.
- E quindi non eri tu.
Il sillogismo di mia madre fa acqua da tutte le parti, ma mi guardo bene dal dirglielo.
- La Dalmasso è molto indispettita dal fatto che io non le creda, sai? Ne ha fatto un punto d’onore. Ha detto che cercherà quella benedetta rivista e mi farà vedere le foto. Non sa più dove l’ha messa, altrimenti lo avrebbe già fatto.
Sudo freddo: confido nel mio angelo custode, che certamente avrà nascosto quella rivista in fondo a una cassapanca, sotto un mucchio di stracci. Cerco di scherzarci su.
- Bene, mamma, se la trova falla vedere anche a me: sono proprio curioso di conoscere il mio sosia.
Mia madre ride e cambia argomento.
- Comunque, tesoro, non trovi che Michele sia nato per fare il padre?
- Sì, assolutamente.
- E pensare che non ha figli. Per fortuna Laura è ancora giovane e sembra che sia guarita bene. I medici sono molto ottimisti.
Non dico nulla. Non ho mai avuto la minima fiducia nell’ottimismo dei medici in casi del genere. A mio parere non hanno la più pallida idea dell’esatta natura della malattia con cui hanno a che fare, per cui il loro ottimismo e il loro pessimismo valgono quanto un tiro di dadi. Mi limito ad augurare in cuor mio a Laura tutta la fortuna del mondo.
- Il bambino è bellissimo, non trovi?
- Sì, è molto bello.
- Ha qualcosa che mi ricorda un po’ te da piccolo, sai? Non nel modo di fare, quello no. Lui è molto più serio: tu eri un tesoro, ma un vero tontolone, sempre con le testa fra le nuvole, e ridevi sempre.
- Un idiota, insomma.
- Ma no, che dici? Non un idiota, un amore di bambino. Lui non ride quasi mai: è un bambino curioso, osservatore e attento. Dev’essere molto intelligente.
- Sì, pare anche a me. A volte mi imbarazza.
- Ad ogni modo sono molto stupita del fair play di tuo fratello: ho sempre saputo che era un ragazzo forte e razionale, ma non avrei mai pensato che potesse rimanere in così buoni rapporti con la sua ex moglie.
- Non ancora ex, mamma: non si sono separati ufficialmente.
- Sì, ma è come se lo fossero: vivono in due case diverse e ciascuno ha la sua vita. Eppure Michele è voluto rimanere in contatto con lei, anche se è evidente che lei lo ha tradito quasi subito, perché il bambino è nato troppo presto.
- Già.
- Non so, c’è qualcosa che mi sfugge: non capisco come abbia fatto a perdonarla così presto. Non mi stupisce la nobiltà d’animo di tuo fratello, perché lo so che è un ragazzo con una mente superiore, ma mi pare che si stia attaccando un po’ troppo a quel bambino che non è figlio suo, non ti pare?
- Sì mamma, effettivamente si comporta né più né meno come se fosse suo padre.
- D’accordo, Antonia gli ha chiesto di fargli da padrino, ma Michele stravede per quel piccolo. Intendiamoci, il bambino piace molto anche a me, ma lo trovo… strano, ecco, piuttosto strano.
- Non posso darti torto, mamma.
Dalla piscina arriva la voce di Michele:
- Ehi, Emmanuel, ci butti la palla?
Mi alzo, vado a prendere una palla di gomma rossa appoggiata alla parete della cabina e la lancio a mio fratello, che la usa per giocare con Martino, ma anche per insegnargli a nuotare; il bambino si aggrappa con le manine alla palla e impara a galleggiare senza accorgersene e senza patemi d’animo. È intelligente, mio fratello.
- Buttati anche tu - mi dice Michele.
- Non ne ho voglia - incomincio, ma poi mi lascio attirare da quell’azzurro invitante, prendo lo slancio e mi tuffo di testa. Raggiungo i due con poche bracciate, sollevando qualche spruzzo: subito Martino protesta strillando.
- Hai paura di un po’ d’acqua? - gli dico ridendo.
- Tio butto! - esclama Martino.
- No dai, brutto no: - lo corregge Michele - se mai cattivo.
- Come no, cattivissimo: spruzzo veleno! - dico con voce cavernosa, sgranando gli occhi. Poi immergo completamente la testa e riemergo con la bocca piena d’acqua, spruzzandola in faccia a Martino. Naturalmente il bambino reagisce con uno strillo indignato e mi picchia in faccia.
- Butto! Butto!
Rido e mi allontano dalla coppia, raggiungendo il bordo della piscina con qualche bracciata.
- Che figlio scemo che ho fatto - bofonchio fra me, scrollando i capelli per asciugarmeli un po’.
Mia madre, che ha osservato la scena, sorride divertita. Torno a sedermi sulla mia sdraio.
- Certo che gli diventerai antipatico, tesoro, - mi dice lei - se gli fai degli scherzi così stupidi.
- Eh pazienza, mamma: me ne farò una ragione - le rispondo, spostando la sdraio al sole per asciugarmi meglio. A dirla tutta, io e mio figlio ci siamo antipatici a vicenda.
All’improvviso il mio cellulare, che è rimasto appoggiato sul tavolino sotto l’ombrellone, squilla.
- Emmanuel, non rispondi?
- No, mamma, non ho voglia di essere disturbato: lascialo squillare. Prima o poi la pianterà.
Dopo una quindicina di squilli il chiamante desiste, ma si sente distintamente il bip della segreteria telefonica.
- Credo che ti abbia lasciato un messaggio in segreteria, tesoro.
Mi alzo sbuffando, raggiungo l’ombrellone e prendo in mano il telefono. So già perfettamente di chi si tratta e la mia insofferenza è soltanto simulata: in realtà ho il batticuore. Ho sempre una segreta paura di ascoltare l’ultimo messaggio, quello di addio: perciò esito. Alla fine premo il pulsante e ascolto il messaggio passeggiando nei dintorni dell’ombrellone per non insospettire mia madre, che troverebbe piuttosto strano il fatto di vedermi allontanare per ascoltare il messaggio di nascosto.
Purtroppo Gianni è in evidente stato confusionale e strilla così forte che è difficile silenziare la sua voce, per quanto io tenga il cellulare incollato all’orecchio.
- Emmanuel, amore, ma perché non mi rispondi mai? Lo capisci, vero, che così mi porti alla disperazione? Oh, lo so che lo fai per punirmi, e fai bene, perché me lo sono meritato, ma devi darmi la possibilità di spiegarti… Devi, capisci? Tutti hanno diritto a una seconda possibilità, e io non posso vivere se tu non me la concedi. Ti prego, ti supplico, ti scongiuro, cucciolo caro, rispondimi!
Riattacco fingendo la massima indifferenza. Mio fratello e il bambino, impegnati nei giochi in piscina, non possono avere sentito nulla, ma mia madre era piuttosto vicina a me e temo che qualcosa possa esserle arrivato all’orecchio. Mi risiedo al mio posto facendo finta di niente. Per un po’ lei rimane in silenzio, poi mi chiede:
- Tutto bene, tesoro?
- Sì, mamma, perché?
- Non so, mi è parso che la telefonata ti abbia turbato.
- Chi, me? Ma se non ho detto una parola. Io ho solo ascoltato: se mai era lui che era turbato.
Ed eccola qua, la solita uscita da perfetto imbecille. Arrossisco, ma per fortuna il rossore può essere attribuito al sole.
- Lui? - chiede inevitabilmente mia madre.
- Eh sì, era un uomo.
Mia madre tace, non sapendo come formulare la prossima domanda. Poi raccoglie le idee e ci prova:
- Comincio a capire perché non volevi rispondergli: dev’essere un terribile scocciatore.
- Più o meno.
- È uno stalker?
- Diciamo che in un certo senso lo è.
- Guarda che lo stalking è un reato: se vuoi puoi denunciarlo.
- Ma no, mamma, non è il caso.
- Cioè, non è che io abbia sentito gran che, ma i toni che usava… Dio mio… erano patetici.
- In effetti quest’uomo è un soggetto molto melodrammatico.
- Per carità, tesoro, non dargli corda: tipi del genere possono essere pericolosi.
- Ma infatti non gli ho risposto, mamma: più di così…
- E hai fatto benissimo. Ma tu guarda un po’ che razza di persone ci sono in giro…
Scuote la testa e, per fortuna, si rimette a leggere “Corpi al sole”, un titolo che mi sembra molto appropriato alle circostanze.
Mi adagio contro lo schienale con un sospiro di sollievo e chiudo gli occhi, ascoltando distrattamente le voci di Michele e di mio figlio che giocano in piscina e facendo il bilancio della situazione.
Le buone notizie sono tre: la prima, che Gianni mi ha telefonato; la seconda, che non mi ha detto addio; la terza, che prima o poi questa giornata finirà.