- Guarda un filino più a sinistra… Più strabico, se puoi, ti dà un fascino assurdo. Fammi un sorriso tipo quando vedi un salmone che attraversa la strada alla fermata dell’autobus.
- E se il salmone finisce sotto l’autobus?
- Ovvio che ci finisce, se no perché sorrideresti? Perfetto, fermo così…
- Gianni, sei un sadico.
- Solo un poco.
- Ma perché oggi stiamo qua nel tuo studio invece che nei soliti posti stravaganti che piacciono a te? Parchi, castelli, rovine, monumenti, chiese deserte…
- Dio, come sei naïf: si dice “location”, non “posti”.
- Vabbè, nelle solite location. Non ci andiamo più?
- No, non ci andiamo più. Per oggi abbiamo finito, tesoro, puoi rivestirti.
- Di già?
- Sì, di già.
- Okay, mi rivesto.
(Silenzio)
- Quanto ti devo per il servizio, Gianni? Il solito?
- No, oggi no. Oggi è gratis, offro io.
- Ma perché?
- Perché è l’ultima volta.
- Come?... È uno scherzo, vero?
- No, gioia, non è uno scherzo.
- Cioè, in che senso l’ultima volta?
- Nel senso di ultima. Finish. The end.
- Ma Gianni… siamo partiti da poco, le riviste stanno appena incominciando a pubblicare le mie foto, cioè le tue, e tu vorresti piantarmi in asso?… Dai, non ci credo, è uno scherzo: un pesce d’aprile, eh?
- Ti ho detto che non sto scherzando.
- Non capisco… Ho fatto qualcosa che non va? Ho sempre pagato quello che mi hai chiesto, non penso di averti deluso o offeso in qualche modo… Sono davvero così scarso come modello?
- No amore, tu sei perfetto. Buchi lo schermo.
- E allora?
- Siediti, passerotto. Ti va un drinkino?
- Io… non so… cosa mi offri?
- Un Irish Coffee.
- Sarebbe?
- Un cocktail che si fa con irish whiskey, caffè lungo bollente americano e un cucchiaino di zucchero di canna. Ci vorrebbe anche la panna, ma non ne ho in frigo. Te lo preparo subito.
- Grazie, ma…
- Non discutere, ci vuole.
…
- Allora, com’è?
- Buonissimo, Gianni. Sei veramente bravo anche a fare i cocktail, non solo le foto.
- Eh sì. Mi servono per tirarmi su il morale in momenti come questo.
- Gianni, per la miseria, mi dici cosa sta succedendo?
- Oh, niente di che. Solo che ho un’etica, anche se ben nascosta, e quindi devo dirti addio.
- Ma perché, Dio santo? Perché?
- Non lo indovini, musetto da porcellino?
- No, non lo indovino affatto, non ho il musetto da porcellino e non sono in vena di indovinelli. Spero che tu non sia malato o qualcosa del genere.
- Malato fisicamente no: ho una salute più che discreta.
- Mi togli un peso dal cuore, credimi: il resto non può essere niente di così grave, ne verremo a capo. Stavo incominciando a guadagnare abbastanza bene, se vuoi ti pago di più.
- Sei assolutamente fuori strada, pulcinello mio: quello che mi davi è più che abbastanza.
- E allora non capisco proprio. Per favore, Gianni, io ho bisogno del tuo aiuto: non te l’ho mai detto, ma ho un figlio di un anno e devo assolutamente contribuire al suo mantenimento.
- Ma dai! Il mio marmottino ha messo al mondo un cucciolo di marmottino?
- Sì.
- Che tenero! E con chi, se è lecito? Una femmina, suppongo.
- Gianni, non è il momento di spiegarti il perché e il percome. Insomma, io contavo veramente su di te, e non capisco perché adesso mi volti le spalle. Cosa ho fatto di male?
- Niente. Quel sorriso, forse. O quell’aria un po’ da oca. O la tua pelle. O quelle gambe da fenicottero. O le scemenze che dici. O le piume da martin pescatore. Non so, fai tu.
- Insomma, sono proprio una frana?
- No, non sei una frana. Purtroppo sei un adorabile maschietto di lontra, e io non posso fare a meno di amare follemente le lontre. Hai presente quando si ruzzolano nell’acqua spruzzandosi a vicenda? O quando scivolano nella neve per dimenticare la fame, mentre quei musoni dei castori si mangiano le provviste che hanno accumulato durante l’estate?
- Sì, ma che cazzo c’entra? Scusami, continuo a non capire.
- Oh ma sei duro di comprendonio allora: devo proprio dirtelo in faccia?
- Eh, mi sa di sì.
- Marmottino mio, mi sono innamorato di te.
(Venti secondi di silenzio)
- Gianni, io…
- Sì lo so, non ne hai nessuna colpa eccetera eccetera. Purtroppo succede. La vita è ingiusta, tesoro, e quindi questa è l’ultima volta che ci vediamo.
- Aspetta, Gianni, ci dev’essere una soluzione: non precipitiamo le cose.
- Che soluzione vuoi che ci sia per un cuore infranto? La colla? Vedi, io so che non sono ricambiato e non farei mai nulla per forzarti: sono un galantuomo. Quindi non c’è nessuna soluzione. Ti lascio andare e stop. Fine del discorso.
- Ma io non voglio andarmene!
- Devi.
- Gianni, io ti voglio sinceramente bene, mi sono affezionato molto a te in questo periodo…
- Sì, lo so che mi vuoi un pochino di bene, e ti ringrazio. Ma io sto parlando di ben altro: ti sogno la notte, ho perso l’appetito, mi viene la tachicardia quando ti penso, non vedo l’ora di rivederti, queste cosine qua. E Massimiliano vuole lasciarmi.
- Chi è Massimiliano?
- Il mio attuale partner, tesoro. È un pittore di fama, ovviamente pittura moderna, di quella che la gente non ci capisce un tubo ma fa finta di capirci per non essere out. Dice che di notte pronuncio il tuo nome nel sonno, farnetico di marmottine e caribù, oltre tutto sbagliando la collocazione geografica: ambiento le marmotte in Liguria e i caribù nel Monferrato. Di giorno mi trova distratto e apatico, condisco l’insalata con la vaselina, e insomma, castorino mio, dobbiamo proprio darci un taglio.
- Capisco, Gianni. Ma perché castorino? Non ero una lontra?
- Sì, hai ragione: vedi che non ci sto più con la testa? Il fatto è che anche i castorini maschi hanno il loro perché, solo che non posso permettermi di innamorarmi a destra e a manca di tutti gli animaletti da pelliccia.
- Mi dispiace immensamente, credimi, ma capisco. Capisco soprattutto che ho una sfiga non comune.
- Perché dici questo?
- Perché è la storia di tutta la mia vita: appena qualcuno s’innamora di me, mi butta fuori della sua vita. Sembra che amare me sia qualcosa di insopportabile.
- Lo è, infatti: fai stare malissimo, è come quando sei a un vernissage di una mostra di cui non ti frega un cazzo e hai le scarpe troppo strette. Non vedi l’ora di togliertele, quelle scarpe, e di indossare le solite, orride pantofole di panno che usi per guardare la tv.
- Eh ma non è mica colpa mia, Gianni! Io non ci posso fare nulla. Non è giusto, non è davvero giusto che la facciate sempre pagare a me per qualcosa che non dipende da me!
- Lo so, cucciolo, ma le scarpe strette sono una tortura, è un dato di fatto incontestabile. E siccome ti voglio bene, eccoti il biglietto da visita di Guido Serrani, un fotografo di moda mio amico, uno bravissimo e rigorosamente etero: si fa le modelle, contento lui… Gli ho già parlato di te, ti aspetta la prossima settimana.
- Grazie Gianni, non ho nessuna intenzione di andarci.
- Perché no?
- Perché a me faceva piacere stare con te. Sono io il paio di pantofole vecchie di cui ti vuoi sbarazzare, altro che scarpe troppo strette… Chissà quante altre scarpe belle nuove hai a disposizione, ma di quelle, chissà perché, non ti vuoi sbarazzare.
- Il fatto è che le altre scarpe nuove non mi fanno né caldo né freddo, sono carine e basta. Usa e getta. Tu invece mi smuovi qualcosa dentro, e questo non va.
- Certo, come no: e io dovrei anche crederci. La verità è che a te non frega un cazzo di me. Di me come persona, intendo. Detesto fare il fotomodello, lo facevo solo perché a fotografarmi eri tu, cazzo, e tu mi butti fuori della porta…
- Ora mi fai venire i lacrimoni, marmottino. Ma bando ai sentimentalismi, il lavoro è lavoro: dormici su, vedrai che domani la penserai diversamente e telefonerai al mio amico Guido.
- Non credo proprio, ma grazie lo stesso.
- Non ti chiedo di darmi un bacio, musetto, ma facciamo finta di sì.
- Lo faccio per davvero, Gianni. Lasciamoci almeno con un abbraccio.
- Da veri uomini, eh?
- Da veri uomini.
(Riparte piangendo)
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